Greenwashing: approvata la direttiva Ue a tutela dei consumatori contro il falso eco-friendly

Sempre più in voga è un termine relativamente recente: Greenwashing, detto anche ambientalismo di facciata
Può essere successo anche a te di aver ritenuto un’azienda particolarmente responsabile sotto il profilo della sostenibilità ambientale per il solo fatto di aver ricevuto una borraccia in alluminio come gadget aziendale, scoprendo poi gli inesistenti o addirittura scarsi tentativi della stessa impresa di ridurre l’uso della plastica nel proprio ciclo produttivo. O ancora, di considerare più “ecologico” un prodotto perché confezionato in un packaging verde e arricchito dai cosiddetti green claims, come “amico della natura” o “rispettoso dell’ambiente”.

La Commissione europea definisce il Greenwashing come l’“appropriazione indebita di virtù ambientaliste finalizzata alla creazione di un’immagine verde”. Ma cosa si intende esattamente? E, soprattutto, come è tutelato il consumatore da questa pratica sempre più in uso?

Il Greenwashing rappresenta una particolare strategia di marketing con la quale le imprese proclamano un’immagine di sé ingannevole e, nel promuovere i propri prodotti e servizi, inducono i consumatori a credere che siano rispettosi dell’ambiente, sebbene ciò sia fuorviante o non veritiero.

Il 20 febbraio 2024, il Consiglio UE ha approvato il testo della direttiva detta “Empowering Consumers for the Green Transition (ECGT)”, che rientra tra le iniziative previste dalla Nuova Agenda dei Consumatori 2020 e dal Piano d’Azione per l’Economia Circolare 2020 della Commissione europea. All’interno della nuova direttiva sono state introdotte, tra le altre, specifiche norme per contrastare il fenomeno del Greenwashing. In particolare, è stato aggiornato l’elenco di pratiche commerciali scorrette, che modificherà e integrerà la direttiva 2005/29/Ce. 
Il primo passo da compiere per potersi difendere in maniera adeguata dal fenomeno del Greenwashing è conoscere le pratiche commerciali scorrette utilizzate dalle aziende, ecco di seguito le più importanti tra quelle individuate dalla recente direttiva.
Molto spesso le imprese pubblicizzano prestazioni ambientali future: la direttiva proibisce che ciò avvenga senza che vi siano impegni e obiettivi chiari, oggettivi e verificabili. La mancanza di prove è infatti il primo segnale per riconoscere pratiche di Greenwashing

In generale, occorre diffidare da asserzioni troppo vaghe o frasi ad effetto. Per questo, sarà vietato l’impiego di indicazioni ambientali generiche, come “rispettoso dell’ambiente”, “verde”, “amico della natura”, “a impatto climatico zero”, “ecologico” e simili, se non è possibile dimostrare l’eccellente prestazione ambientale declamata.
Per la stessa ragione, sono proibite affermazioni circa la compensazione delle emissioni di gas a effetto serra, secondo cui un prodotto ha un impatto neutro, ridotto o positivo, come “impronta CO2 limitata”, “compensato dal punto di vista climatico”, “impatto climatico ridotto” e simili, se ingannevoli e fuorvianti.
È considerata pratica commerciale scorretta anche affermare la sostenibilità ambientale dell’intero prodotto o dell’intera attività, laddove essa riguardi in realtà solo un determinato aspetto, strategia di comunicazione ad oggi ampiamente utilizzata. Ogni volta che si leggono affermazioni simili, occorre domandarsi se riguardano il solo imballaggio, il prodotto stesso o una minima parte dello stesso.
Qualora una pratica di produzione, come l’utilizzo di una particolare sostanza, sia vietata per legge al fine di tutelare l’ambiente, non sarà possibile per l’impresa vantare tale caratteristica. I consumatori, infatti, saranno indotti a credere che sia prerogativa distintiva di quel solo prodotto, quando in realtà è requisito dell’intera categoria.
Un modo efficace per difendersi dal fenomeno del Greenwashing è controllare le certificazioni, le sole capaci di garantire la veridicità delle virtù ambientaliste vantate. In particolare, la nuova direttiva vieta l’esposizione di etichette di sostenibilità che non si basano su un sistema di certificazione o che non sono state istituite dalle autorità pubbliche.  

La direttiva entrerà in vigore dal ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea e gli Stati membri avranno 24 mesi di tempo per recepirla negli ordinamenti interni.

Ricordiamo che ad oggi, in Italia, il fenomeno del Greenwashing è da inquadrarsi come pratica commerciale scorretta, pertanto pubblicità ingannevoli o fuorvianti possono essere segnalate all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. In aggiunta, l’articolo 12 del Codice di Autodisciplina pubblicitaria prevede che “la comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili”. Un’ulteriore tutela può dunque giungere dall’Istituto di Autodisciplina pubblicitaria.

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