Ammalarsi di gioco d’azzardo

Negli ultimi 10 anni nel nostro Paese sono andati sempre più aumentando le tipologie e le occasioni di gioco autorizzato a disposizione di una grande massa di persone: sono aumentate le possibilità di giocare nella settimana, per esempio al lotto e al superenalotto, e creati nuovi corner e punti gioco per le scommesse.
L’ultimo nato tra i giochi disponibili per il grande pubblico promette la vincita di  un vitalizio e può essere giocato in  punti-vendita (tabaccai, giornalai ecc) diffusi in tutto il Paese, con numerose estrazioni nella giornata e il nostro Superenalotto per l’ennesima volta ha un jackpot da record.
Insomma siamo continuamente sottoposti a pressioni  o ad inviti più o meno espliciti a provare la fortuna. “Vuoi vincere facile?” è un tormentone pubblicitario degli ultimi anni che prospetta la vincita come una certezza e invita a giocare qualche numero come se fosse da sciocchi non farlo perché le probabilità sono tutte dalla tua.

I giochi d’azzardo autorizzati (per gioco d’azzardo si intende qualunque gioco in cui si mette in palio una posta – denaro o altro valore – che una volta puntata non può essere ritirata e il cui esito dipende solo dal caso) sono da tempo utilizzati dai governi per recuperare denaro e finanziare così iniziative di pubblica utilità. Tuttavia aumentare giochi e frequenza di giocate espone il pubblico a potenziali danni, sia di ordine finanziario (aumento dei debiti) che sociale (aumento di comportamenti illeciti) e anche sanitario (aumento di giocatori patologici).
La disponibilità e l’accessibilità dei giochi infatti influenza il numero dei giocatori: a maggiore accessibilità corrisponde maggiore possibilità che si giochi in maniera sempre più difficile da controllare fino a diventare giocatori eccessivi. (1)

Ammalarsi di gioco d’azzardo diventa quindi una possibilità concreta e alla portata di tutti.
L’attenzione del mondo scientifico per questa malattia è piuttosto recente: solo nel 1980 l’Associazione Americana di Psichiatria l’ha inserita nel proprio manuale diagnostico (il DSM, riferimento internazionale per la classificazione e la diagnosi delle malattie psichiatriche) descrivendola come una condizione in cui il soggetto perde il controllo nel comportamento del gioco che  invade progressivamente la sua vita, impegnandolo in una continua ricerca del denaro che serve per continuare a giocare e, nello stesso tempo, mettendolo in condizione di mentire per minimizzare o nascondere le perdite, fino al punto da compromettere la propria vita familiare, affettiva e lavorativa. (2)

Giocare d’azzardo, quindi, può diventare una malattia. E può essere una malattia di tutti, non solo di chi frequenta Casinò o bische, ma dell’impiegato, della casalinga o del pensionato, di chi magari fa fatica ad arrivare alla fine del mese.
Si incomincia sempre un po’ per caso, al bar che si frequenta per il caffè o l’aperitivo o dal tabaccaio dove si comprano le sigarette: i videopoker (ma anche i biglietti del gratta e vinci o del Superenalotto) sono lì, nei posti dove si va per altro, per la colazione o per incontrare gli amici.

Giocare ai giochi legali è un comportamento estremamente diffuso e anche socialmente incentivato. Nella maggior parte dei casi si gioca solo occasionalmente, solo per divertimento; in percentuale inferiore si gioca abitualmente; solo raramente (1-2%  della popolazione nelle società in cui il gioco si è sviluppato più rapidamente; la percentuale è maggiore negli adolescenti) si gioca quotidianamente e in modo eccessivo. In quest’ultimo caso il  passaggio dal gioco più o meno abituale al gioco eccessivo avviene gradualmente, per fasi successive, in un arco di tempo che può durare anche anni. (3)
Naturalmente non si tratta di un percorso obbligato: molti non diventano mai giocatori compulsivi, altri possono mantenere ritmi di gioco anche elevati ma equilibrati, altri smettono e riprendono. Le possibilità sono molteplici.

Perché si gioca?
Perché si è convinti di poter dominare la fortuna, di saper controllare i risultati
, facendo appello a delle proprie strategie e sovrastimando le probabilità oggettive di vincere. Razionalmente si sa di non poter influenzare il caso ma mentre si gioca tutto ciò viene dimenticato. Così ci si inventa dei metodi di gioco, come se si potesse prevedere o controllare l’esito. La maggior parte dei giocatori ricorda una vincita iniziale e man mano su questo ricordo costruisce la convinzione che, diventando sempre più esperti, sarà sempre più facile vincere.

Ma il risultato di questi giochi è sempre casuale e quindi non si può diventare esperti perché non esiste relazione tra modi di giocare ed esito del gioco. Chi vince, alla lunga, è sempre il gestore (il Casinò, lo Stato o il barista) a cui va, in percentuale variabile, la posta messa in palio e in questa “sfida”  perde il giocatore, soprattutto se abituale.
Malgrado ciò il giocatore persiste nel gioco e le perdite, anche se ripetute, vengono interpretate come il risultato di un temporaneo momento negativo: “prima o poi la fortuna tornerà”. Così si aumenta la frequenza e la durata del gioco e man mano vengono impegnate anche cifre che dovrebbero essere destinate al necessario (mutuo, affitto, sussistenza della famiglia), con la convinzione che la vincita sia vicina. Questa convinzione nasce dalla erronea considerazione che “non si può sempre perdere” e così si arriva al punto che non si gioca più né per divertirsi né per vincere, ma solo per recuperare le perdite.
Così si gioca sempre più a lungo e si impegnano sempre più soldi. Quando si va oltre le proprie possibilità  si comincia a chiedere prestiti, ad amici o conoscenti, o a banche e finanziarie, fino agli usurai; qualcuno arriva a commettere degli illeciti (furti, truffe).

L’isolamento sociale aumenta così le difficoltà lavorative e familiari. E’ in questa fase, quando si diventa finalmente consapevoli delle perdite (di denaro ma spesso anche del lavoro o degli affetti), fino alla disperazione, che si decide di chiedere aiuto. Da qui incomincia il cammino nella direzione dell’abbandono del gioco, con la pianificazione del ripianamento dei debiti, della ripresa del lavoro e la ricostruzione delle relazioni affettive. (1)
Alcuni Autori (Custer 1992) hanno così schematizzato le fasi di progressione della malattia: fase vincente (della durata media di 3-5 anni) , fase perdente (generalmente di durata superiore ai 5 anni)  e fase della disperazione. Da quest’ultima  sarebbero possibili 4 vie d’uscita : la richiesta d’aiuto, la fuga, la carcerazione o il suicidio. (1-3-4)

E i giochi?
Il tipo di gioco può influenzare i giocatori, alimentando in modo diverso i pensieri erronei che inducono al gioco: illusione di controllo, superstizione, dipendenza delle giocate.
Alle slot ci si illude di controllare il risultato giocando alla macchina “piena” oppure interrompendo la corsa dei rulli in un certo momento; al bingo si scelgono le cartelle con i propri numeri fortunati; si gioca al lotto la propria data di nascita o il numero ritardatario. Elementi di attrazione quindi sono la possibilità di eseguire delle scelte, la velocità di esecuzione e la apparente complessità del gioco. (3)
Quindi predispongono maggiormente al rischio di dipendenza  le slot-machines, i giochi da casinò, ma anche i videopoker e il Bingo, a cui va aggiunto in nuovo nato, il “Win for life”e in genere le lotterie cosiddette istantanee.

Chi sono i giocatori?
Da alcuni studi socio-demografici si sa che sono soprattutto maschi (in particolare quelli che hanno iniziato a giocare precocemente), sono celibi e con titolo di studio di scuola inferiore; le donne hanno un’età più elevata, una progressione di malattia più veloce e richiedono aiuto più precocemente.
E’ frequente che un giocatore patologico abbia avuto uno o entrambi i genitori giocatori (segno di vulnerabilità genetica ma anche di acquisizione di comportamenti), che abbia subìto la perdita (per separazione, abbandono o decesso) di un genitore prima dei 15 anni, che  sia stato educato ad una scarsa attenzione al risparmio, alla pianificazione finanziaria e al bilancio familiare e/o a dare eccessiva importanza a simboli materiali ed economici. (3)

Nel giocatore è possibile la coesistenza di particolari temperamenti, disturbi di personalità, uso di sostanze psicoattive, disturbi dell’umore.
L’abuso di sostanze psicoattive illecite o lecite come l’alcool (che ha un’azione disinibente e quindi incoraggia all’azione) è più frequente nei giocatori rispetto alla popolazione generale e i tossicodipendenti, più frequentemente del resto della popolazione, sono anche giocatori patologici; è possibile sia la coesistenza che il passaggio da una dipendenza all’altra.
Sono frequenti nei giocatori anche i disturbi dell’umore, in particolare la depressione, e il tasso di tentati suicidi è elevato, mentre tra i disturbi di personalità i più rappresentati sono il disturbo antisociale, il narcisistico e il borderline. Infine un temperamento caratteristico, ma non esclusivo, del giocatore è quello del sensation-seeker (ricercatore di rischio, di emozioni forti). (3)

In effetti i giocatori patologici non sono una categoria omogenea, ma presentano variabili diversissime per struttura di personalità, evoluzione del sintomo, indicazione di trattamenti e prognosi.

Una possibile categorizzazione (Blaszscynski 1991-2000) ne distingue 3 diversi gruppi, utile per la prognosi e le scelte terapeutiche.

Nel primo gruppo rientrano giocatori che basano il loro gioco su credenze erronee (illusione di controllo, superstizione ecc) e che non presentano alcuna condizione di patologia o disturbo psichiatrico precedente. Questi possono giovarsi di programmi minimi o di counselling e al termine del trattamento possono raggiungere livelli controllati di gioco.

Nel secondo rientrano giocatori che in aggiunta alle caratteristiche del gruppo precedente presentano fattori di vulnerabilità ed una situazione emotiva disturbata (ad esempio ansia, depressione, scarsa capacità nel far fronte alle difficoltà, retroterra familiare negativo). Questi necessitano di trattamenti più intensi, con terapie dirette a migliorare i livelli di autostima, aumentare le capacità di tollerare lo stress e di risolvere dei problemi. L’efficacia dei trattamenti è minore, con limitate possibilità di controllare efficacemente il gioco.

Infine nel terzo gruppo rientrano i giocatori che presentano associate  patologie caratterizzate da impulsività (comportamenti antisociali, uso di stupefacenti) e deficit dell’attenzione, con familiarità per gioco d’azzardo o tossicodipendenza, esperienze negative della loro vita evolutiva, tratti di personalità nevrotica, in cui il gioco costituisce una fuga estrema, cioè quasi uno stato alterato di coscienza in cui il soggetto è totalmente assorbito dall’esperienza. Il tipo di trattamento e la possibilità di contenere il gioco in questo caso è in relazione alla patologia coesistente e va valutato sul singolo soggetto.(3-5)

Come si cura?
Sono stati individuati diversi fattori predisponenti al gioco patologico (biologici, ambientali, psicologici individuali e familiari) e proposti dei modelli interpretativi della malattia da varie scuole di pensiero (fisiologiche, psicoanalitiche, comportamentiste o cognitiviste), senza però poter soddisfare completamente le necessità dei clinici.(1)
La maggior parte dei Centri che si occupano di questa patologia tengono conto di queste variabili e  affrontano le problematiche dei singoli mettendo in campo più tipi di trattamenti e di strategie.

Sei un giocatore abituale e vuoi verificare se giochi in modo eccessivo? Vuoi saperne di più e sapere quali sono i centri di cura?
Puoi collegarti a www.giocaresponsabile.it e a www.andinrete.it, due dei numerosi siti che si occupano di gioco d’azzardo.

Bibliografia
1.R.Ladouceur et al. (2003) Il gioco d’azzardo eccessivo – Centro scientifico editore
2.American Psychiatric Association (1994) Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders (IV ed.)- Ed. Masson
3.AA.VV. a cura di M. Croce e R. Zerbetto (2001) Il gioco e l’azzardo. Il fenomeno, la clinica, le possibilità di intervento -Franco Angeli Editore
4.AA.VV a cura di P. Rigliano (1998) Indipendenze – Edizioni Gruppo Abele
5.M.Croce (2003) Le difficoltà nel riconoscere e trattare le dipendenze non da sostanze – in Personalità/dipendenze – vol.9,fasc.I,giugno 2003

dr.ssa Cinzia Stellato – medico, neurologo – Coordinatore sede SerT di v. Boifava- ASL di Milano – via Boifava n.25 20142 Milano tel 02/85782861 mail cstellato@asl.milano.it

Con il contributo della Direzione Generale Commercio, Fiere e Mercati della Regione Lombardia: la Direzione promuove e sostiene, nell’ambito dei propri programmi d’intervento, iniziative di tutela dei consumatori e degli utenti.
Per informazioni è possibile consultare il sito internet
www.commercio.regione.lombardia.it.