Dove finisce la libertà di fumare? Dove comincia il diritto alla salute degli altri.
Alcuni studi hanno rilevato che un italiano su quattro è vittima del fumo passivo. Non è esagerato parlare di effetti nocivi anche in questi casi: è ampiamente dimostrato che le conseguenze possono essere gravi nei casi di esposizione prolungata o costante nel tempo al fumo degli altri. Si pensi soprattutto ai bimbi che hanno genitori fumatori.
La sensibilizzazione su questo tema non è mai abbastanza, anche perché non tutti sono dotati di un buon livello di civiltà e di rispetto del prossimo.
Per fortuna esistono alcune norme che hanno ridotto i casi di “fumerie pubbliche”.
Già la famosa “626” del 1994 aveva previsto in capo al datore di lavoro l’obbligo di assicurare ai dipendenti la tutela della salute e della sicurezza sul posto di lavoro. Obbligo rafforzato poi da alcune sentenze come la n. 399 del 1996 con la quale la Corte Costituzionale ha sancito l’obbligo per i datori di lavoro di adottare “misure capaci di ridurre il rischio derivante dal fumo passivo” allo scopo di “far escludere ogni rilevante pregiudizio per la salute dei non fumatori nei luoghi di lavoro”.
Ma ancor più incisiva si è dimostrata la legge antifumo del 2004 che ha posto il divieto di fumare in locali pubblici “chiusi” come bar, ristoranti e discoteche. Grazie a questa legge, molti non fumatori hanno riscoperto il piacere di andare al pub con gli amici o a ballare in discoteca al sabato sera respirando aria pulita e senza svegliarsi la mattina seguente con tosse e mal di gola. Peraltro anche molti fumatori hanno gradito questo intervento legislativo, sia perché impone loro una forzata diminuzione del numero di sigarette giornaliere, sia perché comunque, anche per un fumatore, l’aria chiusa di un locale satura di fumo risulta sgradevole.
In precedenza, quando i locali erano affollati di gente che fumava, necessariamente il fumo usciva e a pagarne le conseguenze erano gli abitanti degli appartamenti sovrastanti che subivano le immissioni.
La Corte di Cassazione non è rimasta indifferente a questo problema e, con una decisione del 31 marzo scorso, ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Firenze che condannava il titolare di un bar a risarcire la somma di 10 mila euro alla famiglia che abitava sopra al suo locale e che da molti anni era costretta a tenere chiuse le finestre, anche in estate, per evitare che il fumo, uscendo dal bar, entrasse nell’appartamento.
Il tipo di danno che la Corte ritiene sussistente non è quello patrimoniale, bensì il c.d. danno esistenziale che nel caso specifico consisterebbe nell’essere stati costretti a “subire gli effetti molesti, fastidiosi e insalubri del fumo passivo e a tenere chiuse le finestre anche in piena estate per tutelare la propria salute”. In sostanza le immissioni impedivano alla famiglia di godere della propria casa.
Oggi si può dire che la legge antifumo sia largamente applicata e rispettata. Di conseguenza i fumatori diligenti esercitano la propria “libertà di fumare” all’esterno dei locali pubblici. Ma quando sono tanti i fumatori davanti al locale si creano comunque delle nuvole di fumo dense e non si escludono anche in questo caso immissioni negli appartamenti sovrastanti. Tuttavia non sarà possibile o comunque sarà più difficile ottenere condanne per i gestori dei locali al risarcimento ai vicini, perché il fumo non promana più dall’interno del loro esercizio, anche se, per la verità, proviene da loro clienti.
È necessario quindi fare appello alla coscienza di ciascuno, al comune senso civico e al rispetto del prossimo. Perché la mia libertà di fumare finisce laddove comincia il tuo diritto alla salute.