A cosa servono le cellule staminali del cordone ombelicale?
Quando e come si può raccogliere e conservare il sangue cordonale?
Cosa dice la legge italiana a tal proposito?
Queste sono le domande che i futuri genitori si pongono per valutare l’opportunità di donare o conservare il sangue contenuto nei cordoni ombelicali dei loro neonati.
La decisione da prendere non è semplice e non può essere affrettata. Per una scelta consapevole è, infatti, necessario avere informazioni corrette, complete e trasparenti.
Per questo motivo, grazie all’importante pressing effettuato dall’Antitrust, molte aziende del settore (con sedi sia all’estero che in Italia), si sono impegnate a modificare i loro siti internet e predisporre nuove brochure pubblicitarie in modo da fornire un’informazione più chiara ed esauriente sui vari aspetti controversi della materia. In particolare, l’impegno è quello di specificare la reale utilità della crioconservazione all’estero e le reali potenzialità terapeutiche delle cellule staminali emopoietiche (CSE) cordonali conservate per finalità autologhe (autotrapianto o intrafamiliare).
Ecco quindi un po’ di dati e di informazioni utili per i neogenitori.
Le cellule staminali emopoietiche (come quelle contenute nel cordone ombelicale, appunto) sono cellule adulte in grado di ricostruire tutti gli elementi corpuscolati del sangue, ovvero i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine. Per questo motivo il loro utilizzo rappresenta un’opportunità per pazienti con malattie a carico del sangue e/o del sistema immunitario. Il sangue prelevato dal cordone ombelicale è, infatti, una fonte alternativa al midollo.
Ogni anno in Europa vengono effettuati circa 20.000 trapianti di CSE, di cui 5.000 in Italia.
I valori di incidenza delle patologie più gravi e ricorrenti che possono essere trattate attraverso il trapianto di CSE cordonali (es. linfomi, mielomi, leucemie) variano molto da patologia a patologia e in funzione dell’età. Comunque, tali valori sono mediamente compresi tra i 5 e i 50 casi su 100.000.
In buona sostanza, la probabilità di dover fare ricorso al proprio sangue cordonale conservato è piuttosto bassa: oscilla tra lo 0,005% e lo 0,04%.
Negli ultimi dieci anni in Europa i trapianti autologhi sono stati circa 130.000, però tutti realizzati esclusivamente con cellule staminali di midollo osseo oppure estratte da sangue periferico dello stesso paziente, senza ricorrere a quelle estratte da sangue cordonale.
Ad oggi, in Italia nessun trapianto è stato ancora effettuato con campioni di sangue cordonale conservato all’etero.
Invece, di tutti i trapianti allogenici effettuati negli ultimi dieci anni (73.700 circa di cui 700 in Italia), 1.798 (il 2,4%) hanno visto l’utilizzo di CSE cordonali (anche “scongelate”). Ne deriva, quindi, che ad oggi sono state utilizzate soltanto cellule cordonali donate.
Per quanto riguarda le concrete possibilità di reperire un campione compatibile, bisogna sottolineare che in ambito familiare il bambino è compatibile solo per metà corredo cromosomico con la madre e per metà col padre. La probabilità di identificare un donatore compatibile geneticamente al 100% è circa del 25-30% nei fratelli e decresce gradualmente col grado di parente tra donatore e paziente.
Invece, la probabilità di identificare nei registri internazionali un donatore adulto o una unità cordonale adeguata (di soggetti perfettamente estranei quindi), anche se vi sono differenze in base all’etnia, è compresa tra il 50 e l’80%.
Relativamente alla durata massima della conservazione dei campioni di sangue congelati, ad oggi si ritiene che le cellule possano mantenere le proprie caratteristiche fino a 16 anni. Va, però, sottolineato che non si conoscono cause che possano far prevedere deterioramenti significativi delle CSE anche per tempi più lunghi.
Infine, un ultimo aspetto da chiarire è quello della procedura di rientro in Italia dei campioni di CSE cordonali conservati all’estero.
Innanzitutto, va detto che ad oggi nessuna unità di sangue cordonale conservata per uso autologo in strutture estere è stata mai utilizzata in Italia. È quindi ipotizzabile che soltanto in casi di “emergenza clinica” un centro di trapianti ricorra a tali unità.
In ogni caso è necessario che la struttura presso la quale le CSE sono conservate sia accreditata da parte delle autorità competenti dei Paesi di appartenenza, che siano garantiti criteri di rintracciabilità delle CSE e siano disponibili i risultati di controlli ed esami effettuati sulle unità di sangue (sia cordonale che materno). Inoltre, è, comunque, sempre necessario ottenere l’autorizzazione al rientro da parte delle autorità sanitarie nazionali competenti.
Per saperne di più sulla differenza fra trapianto autologo e allogenico e sulla legislazione italiana in materia vi consigliamo il nostro articolo: “Biobanche: il cordone ombelicale è un bene prezioso”.