Povertà e crisi del modello di sviluppo
La nostra società è alle prese con il fantasma della povertà, fenomeno sempre meno circoscritto a frange marginali di popolazione. Oggi si fa fatica a comprenderla e ad affrontarla dopo che il sogno di una società opulenta a beneficio di tutti si è definitivamente dissolto con la recente traumatica crisi economica mondiale che sta attraversando il mondo globalizzato. La povertà, assoluta e relativa, è un fenomeno che non investe solo l’Italia. Basti pensare che nell’Europa dei 27 Paesi riguarda circa 80 milioni di cittadini, pari al 17% della popolazione.
Tra il 2005 e il 2007 mentre quasi ovunque in Europa aumentava il Prodotto Interno Lordo e, soprattutto, l’occupazione, la povertà non decresceva, anzi tendeva ad intensificarsi ad avere caratteristiche di maggiore severità. Tale apparente contraddizione segnala che siamo immersi in un modello di sviluppo senza crescita e che accentua le disuguaglianze di reddito e quindi la povertà relativa di gruppi specifici di cittadini, mentre le politiche redistributive dell’intervento pubblico appaiono insufficienti ad affrontarla.
E’ evidente che una delle cause della povertà è da attribuirsi all’incapacità del sistema di ridistribuire equamente le risorse e le opportunità provocando forti disuguaglianze, dato che la concentrazione eccessiva di ricchezza nelle mani di pochi costringe molti ad una vita di restrizioni e ai margini della società, pur vivendo in un’area economica ricca.
Povertà come causa di esclusione sociale
La povertà può essere assoluta o relativa. La prima si determina quando le persone non hanno le risorse per acquistare beni di prima necessità indispensabili per la sopravvivenza; tale condizione è più comune nei Paesi del terzo o quarto mondo ed è rinvenibile anche nell’UE relativamente a gruppi di popolazione come immigrati irregolari, nomadi e senza fissa dimora.
La povertà relativa è collegata al tenore di vita di ogni paese e colpisce tutti quei soggetti che non hanno la possibilità di godere di standard accettabili di vita propri della società in cui vivono; in termini monetari, la soglia di povertà viene fissata al 60 % del valore mediano del reddito nazionale. Questa misurazione della povertà relativa oggi viene integrata da una più globale valutazione delle condizioni di vita in grado di evidenziare le differenze rispetto agli standard medi. Infatti chi è povero è vittima di svantaggi multipli come la disoccupazione, il basso reddito, l’alloggio inadatto, le cure sanitarie inadeguate, le barriere nell’apprendimento e nell’accesso alla formazione permanente, alla cultura, allo sport, alle attività del tempo libero. In altri termini, la povertà è indice di “disfunzionamento” sociale, di perdita di potere rispetto all’accesso a tali beni. L’esclusione dalla partecipazione alle attività economiche, sociali e culturali di fatto limitano l’accesso ai diritti fondamentali, oltre a costituire un alto costo per la società e un freno della crescita economica.
La povertà è quindi una condizione che si correla con varie forme di esclusione sociale, produce effetti cumulativi di disagio sociale che la confermano e la sanzionano. Ad esempio, la condizione di povertà di una famiglia viene acuita dalla presenza di più figli compromettendo lo sviluppo e il destino sociale di questi. Una famiglia povera con problemi di abitazione, di reddito e di lavoro degli adulti oltre a determinare una riduzione delle opportunità per i minori avrà effetti negativi come il clima di tensione interno, esacerberà il conflitto tra i coniugi e tra questi e i figli che saranno più facilmente vittime di violenza (con possibile ricorso ad affidamenti e limitazione della potestà genitoriale). Inoltre essi interiorizzeranno complessi di inferiorità sul piano culturale e sociale che li indurrà ad avere scarsa autostima di se stessi e quindi a chiudersi nella loro omologa e ristretta cerchia di amici. Il fatto di non poter utilizzare le migliori opportunità ricreative, sportive e culturali disponibili a pagamento nel tempo libero ridurrà le loro potenzialità di socializzazione così come i mezzi e gli stimoli evolutivi necessari per una adeguata realizzazione in questa società. Ne seguirà l’uscita precoce dalla scuola e l’accesso a qualunque impiego immediatamente disponibile, sottoremunerato, in nero o dequalificato con frequenti cambi di lavoro o di posto di lavoro ma senza alcuna crescita reale di professionalità.
Si può parlare così di un “ciclo della povertà” in quanto tende a riprodursi ineluttabilmente dai genitori ai figli o da un evento iniziale ad una condizione pervasiva e cronica per la vita della persona in mancanza di azioni di contrasto che ne spezzino la catena perversa e multipla di causa-effetto.
Caratteri specifici della povertà in Italia
La povertà oggi rivela importanti aspetti di intensità (crescente), di concentrazione (in alcune aree come il Mezzogiorno, in alcuni tipi di famiglia, tra le donne) e di novità.
I dati ufficiali non riescono ancora a dare conto dell’affacciarsi nell’attualità di “nuovi poveri”, quelli della “porta accanto” per indicare chi da una condizione di “normalità” subisce un processo di invischiamento verso la linea della povertà, con conseguenti difficoltà anche psicologiche a fronteggiare situazioni spesso impreviste o imprevedibili (come, ad esempio, l’uscita precoce dal mondo del lavoro, un mutuo da pagare a fronte di una perdita reddituale, la precarietà del lavoro e della remunerazione, la separazione o il divorzio in condizioni di svantaggio, una malattia invalidante, la riduzione del potere d’acquisto etc…), fattori di rischio maggiormente presenti nella società attuale. Vi è una emergenza povertà che non è di tipo strutturale, tradizionalmente collegata con i soggetti marginali della società, ma che colpisce i ceti medio-bassi della società alle prese con processi di pauperizzazione indotti dalla duplice crisi del sistema economico-produttivo dell’economia globalizzata e del sistema di protezione sociale.
In Italia, rispetto agli altri Paesi europei, il fenomeno rivela alcune caratteristiche specifiche che sono: l’aumento della povertà assoluta, per incidenza e per intensità, il divario ancora crescente tra le regioni centro-settentrionali e quelle del Sud, l’aumento di fenomeni pauperistici connessi con l’assottigliarsi dei nuclei familiari, incidendo soprattutto su quelli monogenitoriali e di anziani soli – a seguito della senilizzazione della popolazione, mediamente più avanzata in Italia – mentre la situazione migliora decisamente nel caso delle coppie anziane, soprattutto se dispongono di pensioni da lavoro. Il rischio di povertà cresce rapidamente col crescere delle dimensioni della famiglia e dove è maggiore la presenza di minori. In assoluto sono le famiglie con un solo genitore di genere femminile – in aumento – quelle maggiormente a rischio di povertà soprattutto se a capo vi sono giovani donne con figli minori. La superiore marginalità della donna italiana rispetto al mercato del lavoro aggrava la povertà femminile e con essa si acuisce anche la povertà minorile che colpisce il nostro Paese in proporzione maggiore che nella media dell’Europa unita. D’altra parte la partecipazione al mercato del lavoro delle donne decresce con la presenza dei figli e il rischio di povertà femminile è doppio di quello maschile proprio in relazione all’annoso problema delle pari opportunità rispetto al lavoro ed alla centralità della figura femminile rispetto alla cura dei figli.
Si conferma, ovunque in Europa, il binomio indissolubile di povertà ed esclusione dal mercato del lavoro (crescita della disoccupazione di lunga durata, uscita precoce dal mondo del lavoro), ma è crescente anche la deprivazione da lavoro precario, atipico, a termine, a basso reddito e “nero” che riguarda uno spettro maggiore di gruppi di popolazione (le donne, i giovani, gli immigrati extracomunitari) con effetti immediati in termini reddituali, ma anche con conseguenze su altre dimensioni della vita (precarietà di progetti e dei rapporti, dipendenza da terzi, instabilità abitativa). Per cui la povertà è un fenomeno sfaccettato, multidimensionale e complesso. Qualunque sia il fattore che la innesca la povertà non è mai solo “materiale” o assoluta ma è anche “relazionale” perché riduce gli spazi della vita sociale e la qualità dei rapporti umani ed è “istituzionale” perché è acuita dall’insufficienza, dalla scarsa qualità e dalla parzialità delle misure di contrasto sia delle politiche distributive che di affronto delle cause.
Come contrastare la povertà?
Proprio le caratteristiche dinamiche e processuali del fenomeno, dalla normalità alla vulnerabilità fino all’esclusione sociale, rende più complessa la sua quantificazione e definizione e variegate le sue manifestazioni. Per questo non è sufficiente una linea di contrasto sul piano emergenziale o delle risposte compensative o risarcitorie in termini materiali delle sue forme eclatanti o evidenti ma un’azione di politica sociale a largo raggio, di tipo preventivo, promozionale e di comunità. La povertà si può superare solo se si agisce nella logica dell’”inclusione sociale” che si è andata affievolendo negli ultimi tempi (il “reddito minimo di inserimento” di cui si sono perse le tracce nel nostro Paese, andava in questa direzione) perché è certo che la parola “povertà” di per sè evoca fatalità, condizione statica e insormontabile di bisogni privi di ogni dinamica evolutiva.
Si può dire che nel nostro Paese la povertà costituisce un’emergenza nazionale che va affrontata conordinaria determinazione e a seguito di una esplicita politica di contrasto, armonizzando e razionalizzando anche tutti i dispositivi parziali e frammentati di intervento oggi disponibili, trattandosi di un fenomeno che si radica e si gonfia nella latenza, se non nell’indifferenza, dell’opinione pubblica, dei media e nell’incuria delle istituzioni. La celebrazione dell’anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale può costituire al riguardo un volano importante per una diffusa azione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni.
Articolo di Renato Frisanco