Quante volte, girando per le strade d’Italia, ci siamo imbattuti in cartelli con su scritto “controllo elettronico della velocità” senza però notare alcun autovelox nei dintorni?
I motivi possono essere sostanzialmente due: o l’autovelox c’è, ma è nascosto, oppure si tratta di una zona in cui a volte, ma non sempre, vengono posizionate delle apparecchiature di rilevamento mobili.
In questo secondo caso le amministrazioni si tutelano anticipatamente, posizionando i cartelli nelle zone dove potrebbero trovarsi dei posti di rilevamento, ma non necessariamente e non quotidianamente.
Tali segnalazioni sono d’obbligo in base all’art. 142 del Codice della strada. Inoltre, con una circolare del 2007, il Ministero dell’Interno ha stabilito che la segnalazione deve essere posta almeno 400 metri prima del punto di collocamento dell’apparecchio.
Ma l’art. 142 non prescrive soltanto che le postazioni di controllo siano segnalate, ma anche che siano visibili. Di conseguenza gli autovelox per così dire “imboscati” non sono legittimi e le eventuali multe comminate possono essere oggetto di ricorso. Lo spirito della norma infatti non è quello di far cassa a tutti i costi ma quello di garantire la sicurezza stradale. Quindi la finalità non è reprimere ma prevenire.
Un caso particolarmente grave è capitato in tre comuni calabresi dove l’impresa che aveva in gestione gli autovelox, li aveva ben nascosti “piazzandoli” all’interno di auto in sosta di sua proprietà, incrementando a dismisura il numero di multe. Il motivo di tutto ciò? Semplice: l’impresa riceveva un compenso per ogni verbale di infrazione del quale veniva riscossa la relativa sanzione. Ben presto però si è scoperto l’inganno e la Cassazione Penale, con una recente sentenza di marzo 2009, ha confermato il sequestro degli autovelox, ritenendo sussistente il reato di truffa agli automobilisti.