Una crisi figlia del debito

Lunedì 20 ottobre 2008, un mese dopo il fallimento di Lehman Brothers. Nel week end appena terminato, tutte le principali banche occidentali hanno dichiarato la bancarotta con un effetto domino. Gli enormi interventi statali messi in campo dagli Stati Uniti e dall’Europa non sono riusciti a rianimare il sistema finanziario e oggi, su entrambe le sponde dell’Atlantico, i cittadini si ritrovano sotto shock con il dollaro e l’euro fuori corso. Le autorità sono al lavoro nel tentativo di tenere viva l’attività economica, che al momento appare colpita a morte. A Washington, la Fed e il governo Bush si apprestano a introdurre una nuova valuta: il new dollar, il cui valore sarà legato a quello dell’oro. Nelle capitali europee, invece, si è deciso di tornare alle valute nazionali. Gli economisti sono concordi nell’affermare che le cause del collasso economico-finanziario sono da ricercare nell’eccesso di debito che ha caratterizzato il sistema negli ultimi decenni.

Fortunatamente le cose non sono andate così e la storia che possiamo raccontare oggi, giovedì 21 ottobre 2009, non è così drammatica. Gli aiuti statali sono riusciti a evitare che l’Occidente sprofondasse nel baratro e la ripresa economica sta iniziando a far capolino, anche se non manca chi si interroga sulla sua solidità. Guardando indietro a quei giorni, alcuni membri dei board delle principali banche centrali ammettono oggi che le probabilità di un disastro erano altissime. I cittadini americani erano schiacciati dai debiti e le banche sedevano su montagne di crediti inesigibili. Molte società finanziarie non erano più in grado di pagare gli interessi sui propri debiti e lo stesso valeva per molte imprese, con le case automobilistiche a stelle e strisce in prima fila.

Rispetto a un anno fa la situazione di fondo non é cambiata molto ma la grande differenza é data dal fatto che il governo degli Stati Uniti e dei principali Paesi europei si sono accollati parte del debito privato, che é diventato ora debito pubblico.
La crisi ha avuto una gestazione di almeno vent’anni ma, come sempre avviene in questi processi, é stata l’accelerazione finale a dare il colpo di grazia. I famigerati mutui subprime non sono stati certamente l’unico elemento a generare la crisi ma sono stati quello scatenante. Non è un caso che per quasi tutto il 2008 si sia parlato di crisi dei subprime invece di usare la più appropriata espressione di crisi del debito. Essi restano comunque l’esempio più emblematico delle storture a cui era arrivato il sistema finanziario pre-2007.

I subprime erano quei finanziamenti per l’acquisto della casa erogati a persone che potevano fornire pochissime garanzie di solidità finanziaria. All’apice della bolla venivano autorizzati mutui la cui rata mensile era di poco inferiore alle stipendio del mutuatario. Non solo. Successivamente, l’istituto di credito erogava nuove somme, che il mutuatario spendeva in acquisti, in seguito all’apprezzamento del valore del bene dato in garanzia, ovvero la casa. Non bisogna infatti dimenticare che fino al 2007 il mercato immobiliare americano conobbe un rialzo dei prezzi forte e prolungato. Quando la corsa dei prezzi degli immobili si arrestò il castello di carte è inesorabilmente crollato, con gli effetti che tutti abbiamo sotto gli occhi.

Come già accennato, il problema è stato spostato dalle spalle dei cittadini e degli istituti di credito americani a quelle ben più larghe dello Stato. Per quanto però un governo come quello degli Stati Uniti possa sopportare un indebitamento enorme, i livelli raggiunti di recente hanno fatto suonare un campanello d’allarme, soprattutto a Pechino. La Cina è infatti il primo detentore al mondo di titoli di Stato americano e teme di ritrovarsi in mano carta straccia nel caso in cui il dollaro vada incontro a una forte svalutazione. La strada che Barack Obama ha davanti è tutt’altro che semplice visto che non potrà rispondere alle preoccupazioni di Pechino con la stessa, supponente battuta del suo predecessore Ronald Reagan: “Il debito pubblico americano è così grande che può badare a se stesso”. Se la fase più drammatica della crisi è probabilmente alle spalle, quella più difficile sta per iniziare.

Marco Frojo, giornalista di Finanza&Mercati e Borsa&Finanza

 

Con il contributo della Direzione Generale Commercio, Fiere e Mercati della Regione Lombardia: la Direzione promuove e sostiene, nell’ambito dei propri programmi d’intervento, iniziative di tutela dei consumatori e degli utenti.
Per informazioni è possibile consultare il sito internet
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2 risposte a “Una crisi figlia del debito

  1. il bello il governo parla di risolvere la crisi ma come fa ingannando la gente , sono aumentate le medicine il conai da 10 centesimi e passato a 25 centesimi al kg , io che lavoro con i negozi come faccio a giustificare l’aumento dei prezzi e poi a gennaio ci sono le shoppers biodegradabili che a norma di legge si devono immettere sul mercato il prezzo di queste e superiore di molto , alla fine pagheranno sempre i consumatori che pagano la pena .
    il governo per me prende in giro la gente , io lo vedo perche fornisco molti settori diretti al pubblico , chisa dove andremo a finire se il popolo italiano non si sveglia finiremo molto male tutti

  2. Mi trovo concorde, in massima parte, da quanto espresso nell’articolo. Tuttavia io credo che non sia molto chiaro all’uomo della strada una cosa che invece sarebbe fondamentale dire con chiarezza. La crisi dei mercati finanziaria si è avuta un anno fa e condivido appieno l’analisi delle principali cause che hanno determinato questo. Tuttavia nelle tasche di chi sa ben poco di borsa anche perchè non può neanche investire ma solo pagare le bollette o i mutui appunto, non capisce quando si dice la crisi è alle spalle. La crisi non è a mio parere ancora passata e in parte l’articolo lo sottolinea, personalmente aggiungerei che vi sono fondati motivi per temere ancora il peggio. Anche per chi i suoi soldi li investe in operazioni molto vicine al gioco d’azzardo. Sarà poco cattolico ma per questi signori non mi rattristo. Vi ringrazio per l’opportunità concessami.

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