Il 5 febbraio di quest’anno il Senato ha approvato un emendamento al c.d. “Pacchetto Sicurezza” proposto dal Senatore U.d.c. Gianpiero D’Alia (v. foto). Tale norma, nota anche come “emendamento ammazzaFacebook”, se approvata anche dalla Camera, obbligherà i provider, cioè le compagnie telefoniche che forniscono l’accesso ad internet, a oscurare, su richiesta del Ministero degli Interni, un intero sito, blog o social network, come YouTube e Facebook, qualora sia impossibile reperire il singolo responsabile della pubblicazione di pagine, gruppi o filmati a contenuto illegale.
La “ratio” dell’emendamento è quella di punire i creatori di alcuni gruppi antisemiti o inneggianti a personaggi mafiosi, come Totò Riina. Tuttavia, la procedura prevista è stata subito percepita da tutto il popolo di internet, come una vera e propria censura. Si tratterebbe di mettere internet sotto il controllo del potere esecutivo. In tal caso, il rischio di incostituzionalità della norma sarebbe molto forte, perché verrebbe percepita come una vera e propria restrizione illegittima alla libertà d’opinione. Bisogna ricordare che il codice penale già prevede i reati d’opinione, come l’apologia e l’istigazione a delinquere. Quindi esiste già un sistema di controlli successivi con la possibilità di condannare penalmente i responsabili di tali crimini, ma con tutte le garanzie che il processo comporta.
L’emendamento ha naturalmente suscitato le reazioni dei principali social network. Del resto, quasi tutte queste piattaforme, di sicuro le principali, già provvedono ad eliminare le pagine a contenuto criminoso segnalate loro dalle Autorità o dalla polizia postale.
La portavoce di Facebook, Debbie Frost, ha utilizzato una metafora molto appropriata ed efficace: “Chiudere Facebook per un gruppo opinabile? È come chiudere una rete ferroviaria a causa di un graffito in una stazione”.
Ha fatto sentire la sua voce anche il responsabile per le relazioni istituzionali di Google Italia, Marco Pancini che ha parlato di “leggi ad aziendam che hanno un impatto su tutto l’ecosistema” e del rischio di “portare l’Italia a livello dei peggiori paesi del mondo in fatto di reati d’opinione e di libertà di espressione”, come la Cina. Pancini ha fatto riferimento al principio penale della personalità della responsabilità penale: “qui invece, per la responsabilità di uno, si vuole oscurare il diritto all’espressione di tutti”.
Noi riteniamo che internet sia una grande risorsa per tutta l’umanità, un importantissimo mezzo per comunicare ed esprimere le proprie opinioni. Purtroppo qualche mela marcia c’è, sappiamo che esiste la possibilità di commettere reati attraverso la rete (i più raccapriccianti forse sono quelli legati alla pedofilia e alla prostituzione). Tuttavia riteniamo che la soluzione migliore non sia quella di istituire in capo al Governo il potere di controllo preventivo, ma quella di aprire sedi di discussione tra i gestori di siti e social network di portata internazionale e rappresentanti del Governo e dei cittadini per individuare soluzioni più adeguate e meno drastiche anche tenuto conto della universalità della rete e della conseguente necessità di soluzioni condivise a livello mondiale.
È peraltro emerso che sarebbe intenzione della Camera rimettere mano all’emendamento approvando un nuovo testo. Lo stesso Senatore D’Alia, pur ribadendo la convinzione sulla bontà dei fini perseguiti dalla norma, si è detto aperto a modifiche che possano migliorare la sua proposta, nel rispetto del ruolo affidato ai due rami del Parlamento.