Cartella non pagata: procedure esecutive

Quando la pretesa di pagamento contenuta nella cartella esattoriale è legittima e non ci sono validi motivi per contestare vizi formali della cartella o la tardività della sua notifica, non resta altro che pagarla.
Se il debito non è di importo eccessivamente elevato e si ha a disposizione la liquidità necessaria per estinguerlo, è opportuno effettuare il pagamento nei 60 giorni di tempo che partono dal momento in cui si riceve la cartella, superati i quali, verranno addebitati anche altri costi: dagli ulteriori interessi di mora ai compensi di riscossione aggiuntivi fino alle spese per le eventuali procedure esecutive che si siano rese necessarie.
Se la somma dovuta risulta particolarmente elevata, conviene inoltrare richiesta di rateizzazione (ne parleremo prossimamente).
In ogni caso, scaduti i 60 giorni senza che sia stato effettuato il pagamento, l’agente della riscossione è libero di procedere alla riscossione coattiva di quanto dovuto.


In genere il concessionario, prima di attivare una procedura esecutiva, invia al debitore uno o più solleciti di pagamento contenenti tutte le informazioni utili sul debito (ente creditore, dettaglio degli addebiti) e un bollettino prestampato per effettuare il versamento presso lo sportello provinciale competente oppure alla posta o in banca.

In questo modo l’agente per la riscossione cerca di instaurare un rapporto di collaborazione e di correttezza con i cittadini contribuenti, assicurandosi che vengano adeguatamente informati circa il loro effettivo debito, prima di ricorrere alle varie misure cautelari e alle procedure esecutive.
Del resto, se da un lato è vero che in base al principio di responsabilità patrimoniale sancito dall’art. 2740 del codice civile “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”, dall’altro, è anche vero che le varie procedure esecutive possono risultare particolarmente invasive e gravose per il contribuente, soprattutto quando le somme dovute non sono particolarmente elevate.

L’agente per la riscossione, a seconda dei casi, sceglie quale procedimento avviare: dal fermo del veicolo all’iscrizione di ipoteca sulla casa, fino al pignoramento di beni mobili o immobili o anche “presso terzi” (cioè vengono pignorati i crediti che il debitore vanta nei confronti di soggetti terzi: Spesso si tratta dello stipendio o della pensione, in questa caso però con un limite: è pignorabile al massimo 1/5 della retribuzione o della pensione al netto delle trattenute).

Il fermo amministrativo del veicolo, meglio noto come “ganasce fiscali”, costituisce tecnicamente una “sanzione amministrativa accessoria alla sanzione pecuniaria”, è disciplinato dall’art. 214 del Codice della strada e deve essere preceduto dall’invito di una lettera di preavviso. Con tale lettera l’ente incaricato della riscossione informa il debitore che, qualora non venga effettuato il pagamento entro venti giorni dal suo ricevimento, procederà all’iscrizione del fermo sul veicolo al PRA (Pubblico Registro Automobilistico). In questo modo sul veicolo viene collocato un sigillo e viene nominato un custode (in genere il proprietario), mentre il documento di circolazione (il c.d. libretto) viene trattenuto dall’organo di polizia procedente.
Quando oggetto del fermo è un ciclomotore o un motociclo, ne vengono disposti la rimozione e il trasporto in apposito luogo di custodia.
Dal momento dell’iscrizione del fermo il veicolo non può più circolare. In base al comma 8 dell’art. 214 del Codice della Strada chiunque circoli con un veicolo sottoposto al fermo amministrativo, è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria (da 714,00 a 2.859,00 euro) e il veicolo gli viene confiscato. Per poterlo riutilizzare, il debitore deve pagare la somma dovuta ed ottenere dall’agente per la riscossione il provvedimento di revoca del fermo. Dopodichè, deve richiedere al PRA, a proprie spese, la cancellazione del fermo, allegando il provvedimento di revoca, nonché il certificato di proprietà del veicolo oppure il foglio complementare.

Quando il debito da pagare supera le 8.000,00 euro (limite fissato dal D.P.R. n. 602/1973) l’agente per la riscossione può procedere all’espropriazione (pignoramento e vendita coatta) di un immobile appartenente al debitore. Tuttavia, se l’espropriazione viene iniziata a distanza di più di un anno dalla notifica della cartella esattoriale, deve necessariamente essere preceduta da un avviso di intimazione contenente tutti i riferimenti utili (descrizione degli addebiti, dati della cartella, ecc.) e l’invito a pagare entro cinque giorni dal suo ricevimento (art. 50 D.P.D. n. 602/1973).
In genere, però, l’espropriazione immobiliare costituisce un passaggio successivo all’iscrizione di ipoteca sulla casa. A tal proposito, è importante fare una precisazione: il limite degli 8.000,00 euro è previsto soltanto per l’espropriazione forzata dall’immobile; tuttavia, correttamente, la Corte di Cassazione ha ritenuto che non si possa procedere all’iscrizione dell’ipoteca per importi modesti, sproporzionati al valore dell’immobile e, in ogni caso, inferiori agli 8.000,00 euro (Cass. Civ. sentenza n. 4077/2010). Infatti, anche se l’ipoteca non fa parte dell’esecuzione forzata, è comunque un atto ad essa preordinato e strumentale, di conseguenza sembrerebbe assurdo che si possa procedere ad applicare uno strumento (l’ipoteca sull’immobile) quando non è ammesso conseguire il suo fine (l’espropriazione dell’immobile).

Nel caso in cui riceviate un preavviso di fermo oppure un avviso di intimazione oppure, ancora, un semplice sollecito di pagamento, senza che vi sia stata notificata prima la cartella esattoriale, potrete contestarlo richiedendo all’agente per la riscossione di non compiere alcun atto esecutivo. Inoltre, qualora risultino anche passati più di cinque anni dal momento della presunta infrazione, potrete richiedere anche lo sgravio della somma iscritta a ruolo. Sul sito della Casa del Consumatore trovate il modello di lettera da spedire all’agente per la riscossione e all’ente creditore.

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