facebook e youtube a rischio censura?

Il 5 febbraio di quest’anno il Senato ha approvato un emendamento al c.d. “Pacchetto Sicurezza” proposto dal Senatore U.d.c. Gianpiero D’Alia (v. foto). Tale norma, nota anche come “emendamento ammazzaFacebook”, se approvata anche dalla Camera, obbligherà i provider, cioè le compagnie telefoniche che forniscono l’accesso ad internet, a oscurare, su richiesta del Ministero degli Interni, un intero sito, blog o social network, come YouTube e Facebook, qualora sia impossibile reperire il singolo responsabile della pubblicazione di pagine, gruppi o filmati a contenuto illegale.

La “ratio” dell’emendamento è quella di punire i creatori di alcuni gruppi antisemiti o inneggianti a personaggi mafiosi, come Totò Riina. Tuttavia, la procedura prevista è stata subito percepita da tutto il popolo di internet, come una vera e propria censura. Si tratterebbe di mettere internet sotto il controllo del potere esecutivo. In tal caso, il rischio di incostituzionalità della norma sarebbe molto forte, perché verrebbe percepita come una vera e propria restrizione illegittima alla libertà d’opinione. Bisogna ricordare che il codice penale già prevede i reati d’opinione, come l’apologia e l’istigazione a delinquere. Quindi esiste già un sistema di controlli successivi con la possibilità di condannare penalmente i responsabili di tali crimini, ma con tutte le garanzie che il processo comporta.

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Le insidie del telemarketing

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Il telemarketing è una tecnica di marketing diretto, cioè di commercio interattivo caratterizzato da un contatto mirato e personalizzato. Gli operatori commerciali, sulla base di liste di nominativi, contattano telefonicamente la potenziale clientela al fine di pubblicizzare i propri prodotti oppure per stipulare un vero e proprio contratto di vendita di beni o servizi (c.d. teleselling).
La tipologia più diffusa di telemarketing è il c.d. “outbound” dove il contatto telefonico avviene su iniziativa dell’azienda. Con il c.d. “inbound” invece sono i clienti stessi a chiamare il call center per chiedere informazioni. Il primo tipo è decisamente il più “pericoloso” perché consiste nella spontanea offerta da parte dell’azienda di prodotti di cui generalmente non si ha bisogno.
Poiché gli operatori sono “pagati per vendere”, devono seguire precise istruzioni per convincere i malcapitati interlocutori che l’offerta è strepitosa e che quel prodotto è veramente utile e indispensabile. In particolare gli operatori devono attenersi allo “script” cioè al testo già predisposto della telefonata. Generalmente le fasi scandite dallo script sono quattro:
1) una introduttiva in cui si presenta all’interlocutore l’azienda e l’iniziativa commerciale;
2) un’intervista al cliente per individuare la sua predisposizione all’acquisto anche dal suo tono di voce;
3) una conseguente fase delle “motivazione” in cui l’operatore individua, sulla base delle risposte fornite, l’interesse del potenziale cliente all’offerta in questione;
4) una fase di chiusura volta ad ottenere il consenso esplicito del cliente alla conclusione del contratto.
Per raggiungere lo scopo, la comunicazione deve essere persuasiva. Esistono veri e propri corsi di telemarketing che gli operatori di call center devono frequentare per sviluppare le proprie capacità di comunicazione ed imparare le migliori tecniche di negoziazione telefonica oltre ad un linguaggio convincente e rassicurante.
Generalmente le persone da contattare sono distinte per categorie (es. fasce di età) e suddivise in base al target commerciale di ciascuna iniziativa aziendale o campagna pubblicitaria.
Tuttavia, come abbiamo detto in alcuni articoli precedenti, recenti normative hanno imposto alcune restrizioni all’utilizzo degli elenchi telefonici a scopo commerciale. Le aziende hanno quindi dovuto intraprendere delle campagne di marketing alternative per raccogliere i dati personali di potenziali clienti.
Per questo motivo, se volete evitare telefonate “indesiderate” fate attenzione a promozioni, concorsi a premi (anche su internet) e raccolte punti: leggete bene tutte le istruzioni, anche quelle scritte in caratteri piccolissimi, perché c’è il rischio che i vostri dati vengano poi utilizzati per la promozione di offerte o la pubblicizzazione di altri prodotti.

Oltre il 50% degli autori musicali incassa dalla Siae meno di quanto paga

E’ questo il dato riferito dal Prof. Giorgio Assumma, Presidente della SIAE, ad Altroconsumo, che oggi ha presentato, nell’ambito di un convegno su internet e libertà di informazione in rete, un’inchiesta su diritti d’autore e SIAE.
L’iscrizione alla SIAE non è obbligatoria, tuttavia è l’unico modo per gli autori di verificare se e quanto vengono utilizzate le loro opere e ottenerne i conseguenti guadagni.
Le modalità di distribuzione dei diritti incassati tra gli autori risultano tuttavia penalizzanti per chi, ancora sconosciuto ai più, rischia anche di non emergere sulla base di rilevazioni a campione. Anche a causa di questo, il risultato sconsolante che più della metà degli autori ci rimette ad iscriversi alla SIAE.
Molti i dati interessanti e poco noti che emergono dall’inchiesta:
– il 50% del prezzo dei cd vergini pagato dai consumatori va alla SIAE, anche se i cd fossero  utilizzati solo per copiarci propri files o memorizzare le fotografie delle vacanze;
– il 9% del prezzo dei cd musicali va alla SIAE;
– per la musica suonata ad un matrimonio con ballo e di più di 150 invitati, il compenso dovuto alla SIAE è di quasi 500 euro;
– il 10% degli incassi delle discoteche va alla SIAE: quindi anche sulle bevande che consumiamo, paghiamo il 10% alla SIAE;
– in base ad una recente normativa, anche sulle chiavette deve USB essere caricato il costo del “bollino” SIAE;
– nel 2007 il funzionamento della SIAE è costato quasi 200 milioni di euro.

Guida in stato di ebbrezza + rifiuto di fare l’etilometro = – 20 punti

Girava voce che il rifiuto di sottoporsi alla prova dell’etilometro potesse convenire, piuttosto di farsi “beccare” in stato d’ebbrezza.

Non è così: all’automobilista che guida in stato di ebbrezza e si rifiuta di sottoporsi al test per misurare il suo tasso alcolemico vanno tolti 20 punti dalla patente. Lo ha stabilito la II Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza num. 3745 del 2008.

La norma di riferimento è l’articolo 186, commi 2 ( 10 punti dalla patente di chi guida in stato di ebbrezza) e 7 ( 10 punti dalla patente di chi, opportunamente invitato a sottoporvisi, rifiuta l’accertamento del suo tasso alcolemico), del Codice della Strada.

Nella sua motivazione, la Cassazione ha chiarito che il comma 2 e il comma 7 dell’articolo 186 sanzionano due infrazioni differenti e quindi applicarle entrambe è perfettamente legittimo: guidare in stato di ebbrezza e rifiutarsi di sottoporsi all’etilometro sono due azioni diversee non contemporanee, ma consecutive. Inoltre non sarebbe ragionevole applicare la stessa sanzione ( 10 punti) a chi commette due infrazioni e a chi ne commette una sola (è il caso di chi guida in stato di ebbrezza ma accetta di sottoporsi all’etilometro).

Quindi attenzione, mettiamoci alla guida in stato di sobrietà, anche perché ormai i limiti sono talmente bassi che anche poco vino a tavola potrebbe farci risultare fuori legge. Se non vogliamo abbandonare il nostro italico gusto per il vino, allora affidiamoci a guidatori astemi o sobri. oppure … andiamo a mangiare a piedi, così evitiamo anche di inquinare l’ambiante!

Autovelox sì, Photored no

In tema di violazioni del codice della strada, la regola generale e principale è quella dell’immediata contestazione al trasgressore da parte dell’agente accertatore. Tuttavia, è vero che il Regolamento di attuazione del codice (nello specifico l’art. 384) ammette la contestazione in differita in tutti i casi di impossibilità materiale di contestare l’infrazione al colpevole nel momento in cui viene compiuta.
In uno di questi casi rientra senza dubbio l’eccesso di velocità: l’Autovelox serve proprio a questo. Quando la vettura è lanciata ad una eccessiva velocità sarebbe sconveniente e pericoloso fermarla: i danni potrebbero essere ben più gravi di quelli che si intende prevenire. In questi casi è giustificata la contestazione differita dell’infrazione e l’eventuale assenza di agenti di polizia.
Tuttavia, nei casi di attraversamento di un incrocio con luce rossa del semaforo, è altamente improbabile che il veicolo sia lanciato a velocità elevata. In questi casi succede spesso che la contravvenzione venga rilevata esclusivamente dal Photored, cioè da un’apparecchiatura fotografica, la quale però non consente di verificare come sono andate effettivamente e concretamente le cose. L’apparecchio di rilevamento automatico fotografa la situazione, ma per poter effettuare una corretta contestazione è comunque necessaria la presenza di agenti sul posto che possono risolvere eventuali equivoci e operare le opportune distinzioni. Inoltre, una cosa è la contestazione non immediata, altra cosa è l’assenza di agenti accertatori sul posto.
Questa non è semplicemente la “nostra” opinione, ma quella autorevole della Corte di Cassazione, che in una recente sentenza (la num. 7388 del 26 marzo 2009) ha ribadito come “la rinuncia istituzionale alla contestazione immediata appaia non conforme alle possibili situazioni che in tali evenienze (attraversamento dell’incrocio a semaforo rosso appunto) possono verificarsi” e ha fatto l’esempio della coda di autoveicoli che non consente al mezzo che ha legittimamente impegnato l’incrocio di attraversarlo tempestivamente.
Per questo motivo, se ricevete una multa in cui vi viene contestata la violazione dell’art. 146, terzo comma, del Codice della strada, sulla base di una semplice rilevazione fotografica automatica a mezzo di apparecchio Photored senza la presenza in loco di agenti accertatori, sappiate che potete proporre ricorso al Prefetto oppure all’ufficio o comando che ha elevato la multa (con raccomandata A/R), oppure, in alternativa, al Giudice di Pace (con ricorso depositato nella cancelleria del Giudice di Pace del luogo dove è stata accertata l’infrazione), fondato sull’illegittima assenza di agenti accertatori operanti sul posto e “responsabili” della contestazione, seppur differita. In entrambi i casi però è previsto un termine: si può impugnare entro 60 giorni dal ricevimento della multa (cioè dalla sua notifica).

Finalmente confrontabili le offerte elettriche

In questi giorni è stato pubblicato sul sito dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas un utile e semplice strumento per cercare le offerte elettriche domestiche più convenienti e confrontarle tra loro.
Lo strumento è stato sviluppato finalmente anche in Italia, sull’onda di quanto già presente in vari paesi europei, dopo una fase ricognitiva da parte dell’Autorità a cui hanno partecipato vari soggetti tra cui anche la Casa del Consumatore.
Grazie al motore di ricerca, inserendo pochi dati facilmente desumibili dalle bollette elettriche, è possibile per il consumatore trovare l’offerta che meglio si addice alle sue esigenze.
La partecipazione all’iniziativa da parte degli operatori elettrici è su base volontaria, pertanto il motore di ricerca Trova Offerte non esaurisce tutte le offerte disponibili sul mercato, ma i dodici operatori che vi hanno aderito sono stati sottoposti a verifiche di affidabilità.
In ogni caso, per ogni eventuale dubbio, potete rivolgervi alla nostra associazione.

Il blogger non è un giornalista!

Un blogger può essere condannato per il reato di diffamazione a mezzo stampa?
Come ha chiarito la Cassazione Penale, il blog non è qualificabile come prodotto editoriale, né come giornale online, né tanto meno come testata giornalistica informatica.
Il problema riguarda un po’ tutto il mondo, perché internet è per sua definizione una grande rete mondiale, ed è stato affrontato da alcuni tribunali stranieri con soluzioni differenti.
Negli Usa, un tribunale della Florida ha condannato un sito al risarcimento di ben 11 milioni di dollari per la pubblicazione di un messaggio in cui si accusava una consulente familiare di essere una frodatrice e un’imbrogliona.
In Spagna, il tribunale di Madrid ha condannato un blogger per i commenti dei lettori ad un suo articolo.
Si tratta di casi esagerati ma isolati, e si spera che rimangano tali.
Il blog non è un modo diverso di fare giornalismo, per sfuggire alle relative normative, è semplicemente un “diario online” in cui il blogger, che di solito lo gestisce per diletto e nel tempo libero, esprime le proprie idee e opinioni, senza avere la pretesa di fare dell’informazione giornalistica.
Del resto, chiunque abbia un computer collegato ad internet, può diventare blogger. Esistono diversi siti che offrono la possibilità di creare un “diario online”, con la massima libertà per quanto riguarda la relativa gestione: dall’impostazione del sito (c.d. layout) alla scelta degli argomenti e alla cadenza degli aggiornamenti.
Ne consegue che per diventare blogger non è necessario essere giornalista professionista, e neppure pubblicista. Nessuna norma prevede che il blogger debba iscriversi all’ordine dei giornalisti, né superare alcun esame: non si tratta di un titolo professionale. Dunque, se il gestore di un blog, non può ottenere gli stessi “onori” del giornalista, non deve neppure avere gli stessi “oneri”. Le due figure non sono in alcun modo assimilabili.
Il giornalista gode del c.d. diritto di cronaca. In base a ciò ha la possibilità di divulgare anche notizie lesive dell’onore, qualora ricorrano tre condizioni giustamente restrittive: utilità sociale dell’informazione; verità oggettiva o anche solo putativa (ossia ritenuta tale dal giornalista), purché frutto di diligente lavoro di ricerca; forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, che non ecceda lo scopo informativo da conseguire e che sia improntata a leale chiarezza, evitando forme di offesa indiretta (c.d. continenza). La cronaca sostanzialmente è un’esposizione obiettiva di fatti allo scopo di fare informazione.
Il blogger invece gode del c.d. diritto di critica che è strettamente collegato alla libertà di pensiero garantita dall’art. 21 della Costituzione italiana. La critica è un’attività sostanzialmente valutativa, volta ad esprimere il proprio consenso o dissenso rispetto alle opinioni o alle condotte poste in essere da altri (in questo senso già il tribunale di Bologna con sentenza del 14 giugno 2001). È naturale quindi che all’esercizio di questo diritto di critica sia legata una certa “aggressività” nei confronti del destinatario, il soggetto “criticato” appunto. Ma in questo caso non può essere richiesto il requisito della verità: un’opinione può essere valida o meno, condivisibile o no, ma difficilmente può essere considerata vera o falsa. Tuttavia, se non si vuole incorrere in sanzioni civili o penali, un requisito deve sussistere: quello della legittimità: la critica è legittima se fondata su fatti veri e non manipolati ad arte per sostenere una tesi, altrimenti assurda o infondata.